Gioco di parole

12,00

Testo teatrale

Tore Meli

Pag. 80 – Formato 14 x 21

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Descrizione

L’esigenza è psicoanalitica, i termini strettamente personali.

Uno spettacolo diviso in sette quadri, il primo è introduttivo, la ripetizione monotona quasi cantilenante di frasi, che riportano diverse situazioni di vita quotidiana, l’imposizione a tacere è la più incisiva, si conclude con una crocefissione figurata, non ha niente di confessionale, è una riflessione storica, l’importanza delle situazioni storiche divenute col tempo superstizione, vogliono sottolineare l’impedimento alla parola, l’obbligo a tacere certe riflessioni, se si parla è, ora come duemila anni fa, la crocefissione.

I personaggi dei vari quadri potremmo definirli dei modelli di identificazione, nel secondo quadro il modello è il “cane”, colui  che conta poco, a volte meno di poco, nessuno lo ascolta se è randagio, può anche morire nessuno se ne cura, l’ambiguità qui si fa strada, sono possibili mille riferimenti.

Nel terzo quadro “Cinema e Teatro” si ricongiungono (ammesso che si fossero mai discostati) col binomio Bergman-Bergman attraverso la figura della  madre come in “Sinfonia d’autunno”, ecco l’eterno contrasto, il condizionamento della figura materna, il condizio-namento sociale, non lo merita, bisogna però amarla.

Freud mi viene incontro, il legame dal quale è difficile liberarsi anche se è necessario, infatti Lei può anche rifiutarti, mentre finge di amarti agli occhi di tutti, appoggiata dal super-io.

Si ripropongono una serie di sofferenze fisiche e psicologiche legate alla maternità, in questo caso l’immagine dello spettacolo si sdoppia, diventa ora figlia abbandonata ora madre che abbandona.

L’istinto della procreazione, il desiderio della stessa in antitesi col desiderio della conservazione della propria vita, la cura della propria esistenza: contraddizione storica, della nostra attuale storia.

La Storia entra sempre in ballo, con la tradizione a riportare l’annosa querelle passato che si unisce col presente, non slegabili, culturalmente inscindibili.

Viene introdotta la tematica della vita in città contrapposta alla vita di una piccola provincia.

L’altalena sanità-follia è sempre presente il motivo conduttore la “solitudine”, solitudine nella piccola città di provincia, ma anche nella città più grande dove si comunica solo per telefono, se il telefono non squilla si finisce per amarsi in solitudine. Tutte e due le alternative recano sofferenza.

Il conflitto viene momentaneamente risolto con l’illusione di uno spazio. Dove avviene una sorta di psicoterapia di gruppo, l’esigenza è la comunicazione, sfuggire la solitudine. E anche una esigenza fisica per scaricare la tensione accumulata, dire i pensieri elaborati che hanno bisogno di essere comunicati. In questo spazio è consentito liberarsi, senza schemi preordinati, con tutti, è fatto di parole per questo.

Mi si rimprovera un finale troppo personale, è vero che scarta dal teatro tradizionale. È giusto così, non sono una attrice straniata,  per dirla con Brecht, ma un individuo che racconta, che si libera,  sono proprio io, dico in termini anagrafici, ecco perché si conclude in questo modo: Forse nessuno domani saluterà inutilmente la mia persona”. Mi saluterà infatti non con saluti.

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